Passaggio obbligato per raggiungere la Libia
Come è noto, la Libia è il paese da cui proviene la maggior parte dei migranti che tentano di raggiungere l’Europa traversando il Mediterraneo. Nella geografia fisico-politica africana, alle spalle della Libia c’è il Niger – paese da non confondere con la Nigeria: entrambi prendono il nome dal fiume Niger, ma sono due entità statali indipendenti. Il Niger ha un’antica storia di opulenza, fin dal XVI secolo, come parte dell’impero Songhai; entrò poi nell’orbita dell’azione coloniale francese. La Francia, che nel 1960 concesse al paese l’indipendenza nazionale, ha peraltro mantenuto una ferma presa neocoloniale sul paese africano, che è ricchissimo di uranio, necessario per il funzionamento delle centrali nucleari francesi. Il paese, malgrado le ricchezze minerarie, è poverissimo, con un PIL pro capite di 807 dollari all’anno (in Italia è di 36.830 dollari) e un malinconico posto fra i dieci paesi più poveri al mondo.
E’ a partire dal Niger che la maggior parte dei migranti africani traversa il deserto del Sahara e arriva in Libia, sulle coste del Mediterraneo. Agadez – una città di 79.000 abitanti situata quasi al centro del paese, abitata dall’etnia Tuareg, gli “uomini blu” signori del deserto – funziona da secoli come “porto” del Sahara: nei secoli passati da lì arrivavano e partivano le carovane che con lunghi viaggi a dorso di cammello trasportavano oro e sale, schiavi e pellegrini diretti alla Mecca. Negli anni passati vi faceva tappa la corsa automobilistica Parigi Dakar, apportando turismo, vivacità commerciale e relative entrate per gli abitanti.
Più recentemente, la città ha prosperato sul traffico di esseri umani che attraverso il Sahara cercano di raggiungere la costa del Mediterraneo. Un istituto di relazioni internazionali olandese ha calcolato che negli ultimi quattro anni circa 600.000 persone all’anno hanno fatto la traversata dalla Libia all’Italia. La maggior parte aveva raggiunto la Libia via Agadez, passando per il Niger al ritmo di 100.000 all’anno fin dall’anno 2000; il numero è aumentato fino a 330.000 nel 2016.
Nel momento di maggiore afflusso migratorio, in Agadez circa 6.000 persone erano direttamente occupate nel fornire cibo e alloggiamento ai migranti, e poi trasferirli coi camion attraverso il deserto; in città si vendevano alimenti, acqua, turbanti e occhiali scuri per il viaggio; molti giovani forniti di motocicli lavoravano da taxisti per trasportare i migranti in giro per la città. Si calcola che circa la metà delle famiglie di Agadez vivesse di questi commerci. Anche la linea di autobus che collega Agadez alla capitale del paese, Niamey, nella zona sud-occidentale resa fertile dal fiume Niger, prosperava sul passaggio dei migranti.
I trafficanti caricavano i camion con decine di persone, fino a sessanta, per una traversata quanto mai difficile e rischiosa. Si calcola che per ogni migrante annegato nel Mediterraneo (e sono migliaia all’anno) nel deserto ne siano morti almeno due. In un secondo momento i trafficanti hanno optato per camionette più piccole, con al massimo una ventina di passeggeri, e accompagnate da una seconda auto incaricata di andare a cercare soccorsi in caso di bisogno. Ma anche questi accorgimenti non hanno eliminato il pedaggio di morte pagato al deserto: non è difficile trovare tuttora lungo le piste dei cadaveri mummificati che i nigerini, da buoni musulmani, si adoperano a seppellire; un’opera che fa guadagnare loro il regno dei cieli.
L’afflusso di migranti ha provocato gravi crisi in Europa: la xenofobica chiusura a riccio dei paesi dell’Est, le difficoltà del governo Merkel in Germania, le turbolenze cui oggi assistiamo in Italia, con identici problemi in Francia e in Spagna, soprattutto nelle enclaves africane di Ceuta e Melilla, e infine la crisi delle istituzioni europee, lente e indecise nell’affrontare il problema degli sbarchi sulle coste meridionali. Cercando di affrontare il problema alla radice, l’UE ha fatto energiche pressioni sul governo nigerino per bloccare il flusso di migranti attraverso il deserto. Lo stesso popolo del Niger ha chiesto di agire nello stesso senso, dopo che un gruppo di 92 nigerini, con donne e bambini, erano stati abbandonati nel deserto e vi avevano perso la vita. Nel 2015 il Niger ha promulgato una legge che condanna il traffico di esseri umani e dal 2016 il governo ha iniziato una seria azione di controllo, usando la polizia e l’esercito: i trafficanti sono stati incarcerati, le loro vetture confiscate.
Il sindaco di Agadez, Rhissa Feltou, ha affermato che il posto di polizia nigerino all’ingresso della città è diventato il nuovo confine meridionale dell’Unione Europea, ma di fatto ormai il traffico si è ridotto a meno di 1.000 persone al mese. Traversare il deserto è diventato molto più caro e più pericoloso: infatti quando i trafficanti si trovano braccati dalla polizia o dall’esercito, fuggono abbandonando i loro passeggeri soli nel deserto, destinati a morire di sete. Dall’agosto 2016 sono stati salvate 8.255 persone, ma sicuramente sono molte di più quelle che non sono mai state ritrovate.
La vita economica di Agadez è entrata in crisi, perfino le autolinee per Niamey hanno licenziato il 75% del personale. Oggi il traffico che passa per la città è all’inverso: i migranti espulsi o fuggiti dalla Libia tornano nel Niger per passare in Algeria o in Marocco, nella speranza di trovarvi un lavoro o una via alternativa per l’Europa; ma per gli abitanti di Agadez le entrate sono ridotte al minimo. Coloro che trafficavano esseri umani cercano di riciclarsi e oggi contrabbandano, per inoltrarli nei paesi più a sud, beni meno rischiosi: auto, ma anche armi e droga. Bisogna pure in qualche modo mantenere la famiglia…
Considerata l’importanza strategica del paese nell’itinerario migratorio, e le sue condizioni di estrema povertà, si sono mosse due iniziative, l’una da parte dell’Unione Europea, l’altra panafricana. L’UE ha elaborato un piano, che i giornalisti hanno rapidamente definito “Piano Marshall per l’Africa”, che prevede investimenti per 50 miliardi di euro nei prossimi anni, per risollevare le economie africane e creare lavoro. Recentemente il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, si è recato proprio in Niger, accompagnato da una folta rappresentanza di imprenditori di sei paesi europei (non solo Italia, Spagna, Germania, Francia, ma perfino Ungheria), per concordare iniziative che possano aiutare il paese africano a uscire dalla morsa di assoluta povertà che lo contraddistingue, anche rispetto ad altri paesi africani contigui, come la Nigeria o il Senegal. Bisognerà vedere se a questo piano tanto ambizioso corrisponderanno la volontà politica e i mezzi tecnici ed economici necessari per realizzarlo.
Inoltre, nel marzo di quest’anno 44 paesi africani hanno firmato l’accordo di Kigali (città del Ruanda dove si è tenuto il vertice) per la creazione di un’area di libero commercio continentale africana, accompagnata dalla libera circolazione delle persone: in breve, Maastricht più Schengen in Africa (AfCfta). Si tratta della più grande unione doganale del mondo, che dovrebbe attrarre gli investimenti stranieri, ma soprattutto proteggere le piccole e medie imprese africane, incrementare gli scambi e i consumi, diversificare le economie e creare impiego. Misure assolutamente necessarie, visto che i problemi che attanagliano l’Africa intera si aggravano sempre di più: non solo l’incremento demografico (il Niger ha un indice di fecondità uguale a 7, l’Italia all’1,3) annulla gli effetti benefici della crescita economica, ma la situazione climatica, con una siccità che nel Sahel negli ultimi anni ha assunto proporzioni bibliche, genera povertà e disoccupazione, spingendo i giovani uomini ad arruolarsi nelle milizie terroristiche.
Si tratta peraltro di iniziative che – seppure saranno compiutamente realizzate – avranno effetti sul lungo termine. Per ora, pur se la corrente umana si è ridotta, i tentativi di raggiungere il sogno europeo continuano, e continuano ad esigere il loro triste pedaggio di morte: gli annegati nel Mediterraneo sono solo la cuspide di un iceberg che ha nelle sabbie del deserto la sua tragica base.