La scuola nelle repubbliche partigiane

Quasi tutte le esperienze di libertà nelle repubbliche partigiane e zone libere si verificano nell’estate del 1944. Uno dei primi problemi con cui devono confrontarsi le Giunte popolari amministrative è quello della scuola, almeno a livello elementare, di cui incombe la riapertura in autunno: le repubbliche devono fornire i locali adeguati e gli insegnanti. I testi per tutto il ventennio fascista erano stati forniti direttamente dallo Stato, nella forma di un testo unico che insegnava ai giovanissimi a “credere, obbedire, combattere” in nome del Duce e dell’Impero, in un mare di retorica guerresca e razzista. Si impone quindi anche l’elaborazione di nuovi programmi e nuovi testi.

In mezzo alle devastazioni prodotte dalla guerra, è già difficile reperire i locali adatti: molte scuole sono state bombardate, altre adattate a rifugio per le famiglie rimaste senza casa o per gli sfollati delle città. I locali devono inoltre avere qualche adeguata forma di riscaldamento, e quindi è necessario procurare combustibile in misura sufficiente.

Ma soprattutto bisogna inventare una scuola altra, diversa da quella dell’indottrinamento fascista, e impostata sui nuovi principi di democrazia, quali si delineavano già nella vita quotidiana dei reparti partigiani; infatti, nei momenti di pausa dei combattimenti, i reparti si trasformavano in “comunità educanti” ad opera dei commissari politici. Perfino nei mesi di prigionia in Svizzera, costretti all’inattività e alla fame, i partigiani dell’Ossola libera organizzarono corsi di storia e lingue straniere. Anche prima della Resistenza, nelle carceri dove erano rinchiusi gli antifascisti, i più colti si erano dati il compito di organizzare dei corsi per gli operai e i contadini detenuti. Il regime fascista si era reso subito conto della pericolosità di quelle lezioni e avevano ordinato ai carcerieri di impedire in ogni modo ogni attività culturale. Negate carta, penne e matite, proibito far lezione, neppure di aritmetica. “Ignoranti sono entrati, più ignoranti devono uscire” diceva icasticamente la motivazione della punizione inflitta a un improvvisato “professore”, sorpreso a spiegare le coordinate cartesiane a un bracciante.

La nuova scuola che le repubbliche partigiane tentano di instaurare come prima misura elimina il libro di testo fascista. Deve però fare i conti con gli insegnanti, tutti obbligati durante il ventennio a farsi più o meno volonterosi collaboratori del regime. La Carnia affronta di petto la questione, e ordina di allontanare dall’insegnamento solo i maestri che si erano particolarmente distinti per il loro zelo fascista. Gli altri sono invitati a far lezione con libri non di testo, e viene esplicitamente indicato “Cuore” di Edmondo De Amicis come eventuale sostituto per le lezioni di italiano. Nella stessa maniera, a Torriglia vengono allontanati gli insegnanti dichiaratamente fascisti e per sostituirli si fa ricorso agli sfollati, fra i quali si trovavano molte persone preparate. I nuovi insegnanti elaborano insieme adeguati programmi scolastici, depurati dalla propaganda fascista. Anche a Varzi la giunta popolare si preoccupa di preparare la scuola rifornendola anche di legna per l’inverno, e cerca di attuare una prima revisione dei testi scolastici. Molto efficiente la Giunta dell’Alto Tortonese, che riattiva 20 scuole elementari, con sezioni staccate nelle piccole frazioni, in modo da non costringere i piccoli alunni a spostamenti disagevoli, in mezzo alla neve. Anche qui vengono allontanati i maestri dichiaratamente fascisti e la giunta indice alcune riunioni per definire nuovi metodi conformi ai principi democratici, elaborando nuovi programmi vertenti sulle materie di italiano, storia e geografia. Vengono aperte anche due scuole medie, a Sebastiano Curone e Rocchetta Ligure, con insegnanti reperiti fra gli sfollati delle città; le scuole sono a pagamento ma i ragazzi di famiglie povere vi vengono accolti gratuitamente. Anche in Val di Vara, al confine tra Liguria e Toscana, si affronta bravamente il problema: gli edifici scolastici sono occupati dagli sfollati, e non ci sono fondi con i quali retribuire gli insegnanti. La creatività popolare aggira ogni ostacolo: fra gli stessi sfollati vengono reclutati gli insegnanti, che verranno retribuiti direttamente dalle famiglie degli alunni. E in Toscana, ad Apuania (così era denominata allora Carrara) è il CLN che si occupa direttamente della riapertura dell’anno scolastico: viene nominato un nuovo provveditore agli studi, il professor Rolla, repubblicano, e gli viene affidato in via preliminare il compito di reperire i locali; ma anche qui gli edifici scolastici sono diventati rifugio per gli sfollati, e viene trovata allora una soluzione originale, creando gruppi di studio guidati da giovani insegnanti volontari.

L’azione più lungimirante in fatto di istruzione si dimostra quella della repubblica dell’Ossola, dove si concentra un gruppo di personalità di grandissimo rilievo politico e culturale, come il rettore dell’Università di Padova Concetto Marchesi. Viene formata una Commissione didattica consultiva, presieduta dal professor Gianfranco Contini, dell’Università di Friburgo, di cui fanno parte, fra gli altri, il professor Carlo Calcaterra dell’Università di Bologna, lo scrittore e critico letterario Mario Bonfantini. La Commissione formula una “Carta della scuola”, poi proposta alla Giunta di governo provvisorio, in cui, oltre ad occuparsi degli aspetti contingenti dell’edilizia scolastica e dei libri di testo, si propone una riforma scolastica molto avanzata che prevede il totale rinnovamento della scuola media, allora accessibile a pochi e basata sull’insegnamento del latino, anticipando di vent’anni l’idea di una scuola media unificata, aperta a tutti, che desse spazio alle lingue straniere, alla matematica e alle scienze, secondo le esigenze di una società moderna. L’istruzione e la cultura sono viste come elemento fondante di una nuova società da instaurarsi in Italia, in cui i tecnici preparati in base alle più moderne didattiche, secondo le esigenze delle tecnologie moderne, abbiano una salda coscienza politica che li orienti nella vita pubblica. Dopo la Liberazione, sarà quello il programma delle nuove scuole fondate dai partigiani appena scesi a Milano dall’Ossola, che prenderanno il nome di Convitti scuola della Rinascita.