Anton Saefkow, Franz Jacob, Bernhard Bästlein, chi erano costoro? I loro nomi risultavano del tutto sconosciuti a chi si occupa di resistenza al nazifascismo in Europa. Solo una mostra organizzata dall’ANPI di Milano ne ha fatto conoscere i nomi e l’opera.
L’Organizzazione S.J.B. è stata una delle più ramificate organizzazioni di resistenza nella fase finale del nazismo; agì a Berlino fra il 1942 e il 1944 ed era composta da circa 500 persone, soprattutto operai e impiegati, ma anche professionisti, insegnanti, artisti.
Il regime nazista non aveva stroncato completamente l’opposizione comunista: piccoli gruppi di resistenza erano riusciti a sopravvivere, fra i quali il circolo berlinese chiamato “Rote Kapelle”, orchestra rossa. Dopo che nel 1942 la Rote Kapelle venne duramente repressa e dispersa, i comunisti Anton Saefkow e Franz Jacob iniziarono a tessere una nuova organizzazione, generalmente indicata con le iniziali dei tre capi, S.J.B.
Anton Saefkow, nato nel 1903, era un operaio meccanico qualificato che aveva operato per il Partito comunista tedesco (KPD) sia a Berlino che in altre città. Nel 1933 era stato imprigionato nel campo palude di Schulp/Holstein, in Bassa Sassonia, dove i prigionieri era costretti a pesanti e malsani lavori di bonifica. Liberato nel 1939, aveva subito ripreso i contatti con i vecchi compagni di lotta. Dal 1942, insieme con Jacob e Bästlein, iniziò a costruire una nuova organizzazione con l’intento di riunire tutti gli oppositori di Hitler. Ebbe anche un contatto con il tenente colonnello Klaus von Stauffenberg, autore del famoso attentato a Hitler, il quale però verso i comunisti nutriva una certa diffidenza.
Franz Jacob era nato nel 1906; anch’egli operaio meccanico iscritto al KPD, aveva scontato sette anni di prigionia nel campo di Sachsenhausen, da cui uscì nel 1940. Nel 1942 iniziò con Saefkow la costruzione del nuovo gruppo di resistenza, di cui fu il teorico, elaborando un programma per una Germania libera e socialista, e preparando i volantini e le lettere destinate ai soldati della Wehrmacht.
Bernhard Bästlein era il più anziano, nato nel 1894: anch’egli membro del KPD, nel 1920 era stato eletto consigliere comunale ad Amburgo. Dal 1923 al 1931 era stato redattore di quotidiani del partito. Nel 1933 era entrato nel Parlamento del Reich, da cui era passato immediatamente alla prigione. Scarcerato nel 1940, fondò ad Amburgo vari gruppi di resistenza nelle fabbriche. Nuovamente incarcerato, nel gennaio 1944 riuscì ad evadere ed entrò in contatto con Saefkow e Jacob, diventando il terzo dirigente dell’organizzazione.
Tutti e tre vennero arrestati, Bästlein il 30 maggio, Saefkov e Jacob il 4 luglio del 1944, per delazione di una spia; dopo brutali torture per estorcere informazioni, vennero condannati a morte e fucilati il 18 settembre 1944 nel penitenziario di Brandeburg-Görden.
L’organizzazione che avevano creato lavorava su diversi fronti, anzitutto fra gli operai nelle fabbriche. Dal 1933 in Germania erano stati aboliti i sindacati, i contratti collettivi e il diritto di sciopero. Tutti i lavoratori era stati raggruppati nel Fronte del lavoro, che rappresentava “tutti i tedeschi che usano la mente e il braccio in attività creative”, quindi non solo salariati e stipendiati ma anche professionisti e imprenditori. Le leggi promulgate dal regime nazista abbassarono le retribuzioni dei lavoratori e perfino quando gli operai cominciarono a scarseggiare e gli imprenditori volevano aumentare i salari, Hitler ordinò di tenerli bassi. La partecipazione dei lavoratori tedeschi al reddito nazionale, che nel 1932 – anno di depressione – ammontava al 56,9%, nel 1938 era scesa al 53,6. E’ pur vero che i posti di lavoro erano grandemente aumentati, riducendo di molto la vasta disoccupazione dei primi anni 30, e che i lavoratori erano stati gratificati con l’organizzazione “Kraft durch Freude” (la forza attraverso la gioia) che offriva attività sportive e di tempo libero, come soggiorni al mare o in montagna, escursioni e crociere. Ma i lavoratori erano sempre più legati al loro posto di lavoro non solo con l’istituzione del “libretto di lavoro” che il padrone poteva trattenere impedendo al lavoratore di cambiare posto, ma anche tramite il decreto del 22 giugno 1938, che obbligava ogni tedesco a lavorare dove lo Stato lo avesse assegnato. E i salari erano sempre meno sufficienti a soddisfare le necessità primarie.
I pochissimi gruppi di resistenza rimasti nelle fabbriche erano stati sempre scoperti e i loro componenti rinchiusi in campi di concentramento oppure sbrigativamente giustiziati. Nelle fabbriche era attivo un efficace servizio di delazioni, e chi osava opporsi rischiava immediatamente la vita. Saefcow e Jacob cercarono di contattare vecchi compagni comunisti e socialdemocratici, ex sindacalisti e operai aggregati in certi gruppi sportivi per lavorare alla costruzione di strutture di resistenza nelle fabbriche. Secondo la testimonianza di Willi Schumacher, nato nel 1908, operaio presso la grande fabbrica Hasse&Wrede di Berlino-Marzhan, “al centro della nostra attività stava il lavoro di formazione politica tra i simpatizzanti. Si trattava di sottrarre all’influenza dell’ideologia nazista gli antifascisti reclutati. Un’altra forma di lavoro era la diffusione di materiali illegali. La quantità era di non più di due esemplari per volta. Dal compagno Saefkow mi era stato ordinato di non lasciare in nessun caso questi materiali in azienda, ma di studiarli e ripeterli a voce ai membri dei gruppi aziendali… I volantini contenevano appelli a porre fine una volta per tutte alla guerra e anche inviti a compiere azioni di sabotaggio nelle industrie belliche”. L’Organizzazione, presente in 70 aziende, era basata su cellule di tre persone che non si conoscevano fra loro, cosicché gli eventuali arrestati non potessero svelare alcun nome. La Gestapo di fatto riuscì a sapere dell’esistenza del gruppo alla Hasse&Wrede, ma non a identificarlo, e l’operaio Schumacher visse fino al 1989.
A Berlino e dintorni lavoravano anche 850.000 lavoratori coatti, civili e prigionieri di guerra, provenienti da tutti i paesi d’Europa occidentale e orientale occupati dalle truppe tedesche. Erano alloggiati in baracche, malnutriti, privi di abbigliamento adeguato, maltrattati in ogni modo; lavoravano nell’industria bellica, in diverse aziende, ma anche in agricoltura, nei servizi e nelle case private. I resistenti tedeschi li vedevano come naturali alleati e potenziali compagni di lotta e verso di loro svilupparono una specie di “soccorso rosso” per fornire alimenti, abbigliamento e informazioni sulla situazione politica e militare, cercando di favorire l’organizzazione di gruppi di resistenza. In particolare, due membri dell’Organizzazione S.J.B., Willi ed Helene Hielscher, contattarono un gruppo di prigionieri russi che lavoravano presso le Officine elettriche Bergman, una grande industria bellica. Sorse un attivo gruppo di resistenza formato da soldati dell’Armata Rossa, che furono riforniti di viveri, vestiti e informazioni politiche provenienti da Radio Londra e Radio Mosca. Altri contatti vennero stabiliti con lavoratori russi a Postdam, Wittenau e Neukölln, ad opera di Willi Hielscher e Arthur Magnor. Entrambi furono arrestati nell’agosto del 1944, riuscirono a resistere alle torture e non rivelarono alcun nome; furono uccisi nel gennaio 1945.
Sempre fra prigionieri sovietici e di altre nazionalità – serbi, francesi, americani – operò Alfred Jung, che aveva l’incarico di disinfestatore nel campo per prigionieri di guerra di Furstenberg/Oder. Venne organizzato un gruppo di solidarietà, che rifornì di viveri, informazioni e volantini i partigiani prigionieri nel campo. Jung si incaricò anche di passare la corrispondenza fra i dirigenti dell’Organizzazione S.J.B. e i comunisti francesi e sovietici detenuti nel campo.
Il secondo punto chiave della resistenza fu il lavoro nell’esercito. Più di venti persone dell’Organizzazione si dedicavano al compito di scrivere lettere ai soldati, che venivano inviate agli indirizzi della posta da campo. Nelle lettere i militanti informavano i soldati dell’andamento effettivo della guerra, esortavano a mettervi fine al più presto, rifiutando l’ideologia nazista dell’“onore” e della “fedeltà” e la pretesa dello Stato di imporre ai soldati un incondizionato sacrificio, affermando che la prosecuzione della guerra non aveva più alcun senso e costituiva un crimine anche contro il popolo tedesco.
Nella Wehrmacht si era sviluppata autonomamente una resistenza al regime nazista e alla sua guerra, che portò alla condanna ai lavori forzati di ben 100.000 uomini e alla condanna a morte di altri 20.000. Solo nel 2009 il Parlamento tedesco ha votato una legge che dopo 60 anni cancella tutte le sentenze dei Tribunali militari e riabilita i cosiddetti “traditori di guerra”, cioè tutti quei soldati che si ribellarono o solo espressero dei dubbi sulla guerra del Terzo Reich. Il Parlamento ha finalmente sancito che quelle sentenze furono ingiuste, e ai militari sopravvissuti ha restituito l’onore. Almeno quello!
Il lavoro dell’Organizzazione S.J.B. si rivolse anche al settore più delicato e pericoloso: la difesa degli ebrei. All’inizio del 1943 a Berlino erano ancora presenti oltre 15.000 ebrei, contro i quali si scatenò una caccia all’uomo che doveva essere definitiva. Vi sfuggirono ancora 6.800 ebrei, che sopravvissero in condizioni di assoluta clandestinità. Alcuni divennero collaboratori dell’Organizzazione, come Hans Lippmann, operaio di una fabbrica aeronautica, che d’estate viveva sotto una tenda in un bosco, e d’inverno nella cantina di amici. Prima del 1933 era stato iscritto al KPD; come membro dell’organizzazione S.J.B. si dedicò alla distribuzione di volantini ai soldati e alla divulgazione di notizie provenienti dalle radio estere, oltre a organizzare incontri fra diversi gruppi di resistenti, garantendone la sicurezza. Un altro cittadino di origine ebraica, Heinz Rosenberg, viveva clandestino in un negozio, dove aveva nascosto un ciclostile e della carta, per stampare volantini e lettere per i soldati, nonché documenti falsi per altri clandestini. Custodiva anche un copertone per bicicletta su cui era stato applicato con lettere di gomma uno slogan contro la guerra. Quando si stendeva una vernice sul copertone, lo slogan restava impresso sulla strada. Tutti gli ebrei e i membri dell’Organizzazione che li avevano aiutati (circa 30 persone) vennero deportati nei campi della morte.
Dell’Organizzazione facevano parte 120 donne. La maggior parte erano operaie comuniste che si rifiutavano di restare confinate nelle tre K, “Kirche, Küche, Kinder” (chiesa, cucina, bambini) che il nazismo riservava come destino alle donne. Dattilografavano i documenti e le lettere ai soldati, mettevano a disposizione le proprie case per incontri clandestini, facevano le staffette. Più di 70 vennero arrestate, 40 furono imprigionate, 20 finirono nei campi di concentramento, tre furono condannate a morte con la motivazione che avevano agito non su comando di un uomo ma per convinzione politica personale. Ree perciò di pensare con la propria testa e di prendere decisioni autonome. La figura più significativa è Auguste Haase. Nata nel 1899, al tempo di guerra era già una donna di mezza età; sposata, con quattro figli, aveva lavorato prima come domestica, poi come operaia in diverse fabbriche, e nel 1934 era entrata in un gruppo comunista clandestino. Dopo un periodo di carcere, tornò a lavorare come operaia a Berlino e si impegnò con l’Organizzazione S.J.B. per l’aiuto a prigionieri sovietici e francesi, per la raccolta di fondi, la diffusione di propaganda contro la guerra e l’organizzazione di incontri clandestini. Venne arrestata nell’agosto del 1944 e condannata a morte. La sentenza venne eseguita il 12 gennaio 1945; morì colma di letizia, perché aveva saputo di esser diventata nonna.
Dei 500 componenti dell’Organizzazione, più di 300 furono arrestati: 99 uomini e donne pagarono con la vita il loro impegno contro il nazismo e contro la guerra. I loro nomi e le loro azioni sprofondarono nel silenzio e nell’oblio. Non avevano la sia pur mutila prestanza e la notorietà del nobile Klaus von Stauffenberg, né la grazia adolescente e malinconica di Sophie Scholl e della sua “Rosa bianca”. Erano solo, in gran parte, operai e comunisti: ottime ragioni per dimenticarli. E ottima ragione per ricordarli, oggi, con gratitudine e rispetto e per trarre ispirazione dal loro lavoro e dal loro coraggio, assumendoci il compito e il dovere dell’impegno contro il mostro che sta risorgendo.
Già pubblicato sulla rivista “Gramsci Oggi”, n. 2 del 2015.