È stato il primo dei Convitti scuola della Rinascita, operante dal 26 luglio 1945, appena tre mesi dopo l’insurrezione di aprile, ed è qui che per la prima volta viene esplorato e realizzato un nuovo modo democratico di convivere in una scuola legata alla società anziché avulsa da essa; è nel suo ambito, come vedremo più avanti, che nel 1946 si prepara un primo statuto valido per tutti i Convitti (sorti in gran parte per iniziativa di convittori e dirigenti di quello di Milano), poi rielaborato ed approvato nel quinto congresso dei Convitti tenutosi a Roma nel marzo 1948.
Il Convitto di Milano nasce dalla decisione di un gruppo di ex partigiani di mettere a disposizione il residuo di cassa della loro brigata per gettare le basi di una nuova scuola democratica, aperta a coloro che non avevano potuto continuare gli studi, anticipando così quel “diritto allo studio” che, affermato qualche anno più tardi dalla Costituzione, ancora oggi è realizzato molto imperfettamente. Si costituisce subito un comitato promotore formato da tre professori (Antonio Banfi, Claudia Maffioli, Luciano Raimondi) e tre studenti (Angelo Peroni, Guido Petter, Vico Tulli), tutti provenienti dalle fila della Resistenza. I contatti con il ministro dell’Assistenza postbellica, Emilio Sereni, portano a una convenzione che garantisce un minimo di assistenza finanziaria.
La prima sede fu trovata ad Affori, un sobborgo di Milano, in una villa che prima della guerra aveva ospitato un convitto per bambini gracili. Qui io feci la prima conoscenza di una scolaresca partigiana, giovani, ragazze, uomini e donne, e feci la mia prima lezione di fronte a un uditorio inverosimilmente immobile, tutto teso a seguire la lezione elementare di astronomia che avevo scelto. Non mi sfuggì la presenza tra gli allievi di qualche studente universitario, il cui evidente compito era di controlla rese alle garanzie democratiche che la mia persona offriva si accompagnavano le necessarie competenze scientifiche e didattiche. Seppi in questo modo, dalla prima lezione, che cosa era e sarebbe stato l’autogoverno democratico del Convitto, che doveva più tardi esprimersi nello Statuto, dibattuto appassionatamente in innumerevoli assemblee.
Dopo vari traslochi il Convitto si trovò definitivamente sistemato nel cuore di Milano, parte in via Ruffini (che doveva poi diventare la sede del Centro di Orientamento e di qualche corso) e parte in via Zecca Vecchia, nello stesso fabbricato che era stato la prima sede del Fascio milanese, dopo il “covo” di via Paolo da Cannobio, e che guardava la tristemente nota piazza San Sepolcro.
Il carattere composito di Milano – città commerciale e industriale ma anche uno fra i principali centri artistici e intellettuali italiani, ma anche fortemente sindacalizzata e capitale dell’insurrezione – si estrinseca anche nell’attività scolastica del Convitto. Non potevamo dimenticare l’obbligo di reinserire nella vita produttiva i mutilati della lotta di liberazione e le vittime civili della guerra, né ignorare la duplice necessità nazionale di dar vita a corsi di qualificazione e riqualificazione professionale e di portare nelle istituzioni universitarie le migliori energie intellettuali di estrazione popolare.
A Milano si aprirono inizialmente pressoché tutti i tipi tradizionali di scuola, che poi si smisteranno in altri Convitti, a mano a mano che questi si venivano organizzando: così il liceo classico e l’istituto magistrale furono dirottati a Sanremo e Novara, i corsi per geometri a Bologna e a Torino. Rimasero a Milano il liceo scientifico, la scuola media inferiore e l’avviamento al lavoro. Videro invece la luce corsi professionali particolarmente adatti per mutilati (odontotecnici, orologiai riparatori, analisti chimici) e poi il corso per sindacalisti, mentre dal Convitto di Roma arrivò il corso per grafici pubblicitari. Non mancava un nutrito gruppo di studenti che frequentavano l’Università Statale, la Bocconi, la Cattolica, il Politecnico.
La forza complessiva giornaliera del Convitto di Milano (compreso il Centro di Orientamento, che gravava sul Convitto per il vitto e l’alloggio) fu intorno a 250-300 unità. Si può calcolare che fino alla data della sua chiusura il solo Convitto milanese, escluso il Centro di Orientamento, abbia ospitato circa 1.500 convittori.
Purtroppo la fine dell’unità antifascista dei partiti democratici, nel 1947, segnò anche l’inizio della campagna contro i Convitti. Nel 1949 vengono denunciate le convenzioni da parte dei Ministeri della Pubblica Istruzione e del Lavoro (che le avevano rilevate dal cessato Ministero dell’Assistenza postbellica) e il Convitto di Milano si dovette ridimensionare. Il Centro di Orientamento cessa di esistere. Alla fine del 1955 arriva lo sfratto da via Zecca Vecchia. Il Comune di Milano, subissato dalle richieste dell’opinione pubblica, offre al Convitto i capannoni e la palazzina degli uffici della ex Tallero, una fabbrica smobilitata, in via Giambellino, e qui si riprende l’attività, con più fatica e con tanti problemi in più: dei corsi culturali sopravvive solo la scuola media, mentre si sviluppano corsi professionali finanziati dalla CGIL, tuttora ben funzionanti.
Mi è grato qui ricordare l’aiuto fraterno delle maestranze milanesi nei momenti più duri della vita del Convitto, l’abnegazione del suo personale e dei suoi insegnanti, non solo nel loro campo specifico di insegnamento, ma nel concorrere a riportare alla normalità della vita una gioventù provata dai terribili anni della guerra e della Resistenza.