Luciano Raimondi nasce a Milano nel 1916, sesto figlio di una famiglia operaia di Corso Como. Il padre Carlo è socialista, il nonno Nicola anarchico. Il piccolo dimostra precocemente una vivace intelligenza e capacità di apprendere: la famiglia, povera ma non deprivata culturalmente, approfittando anche delle istituzioni socialiste milanesi destinate all’educazione popolare (che il fascismo non aveva ancora distrutto), lo incoraggia a frequentare lezioni di violino fin dall’età di otto anni, e poi la scuola media, allora già scuola di élite. Terminata la media inferiore, la morte del padre lo obbliga a lavorare per aiutare la madre: fa il facchino allo scalo Garibaldi al mattino, e poi il pomeriggio impartisce lezioni di violino e di latino, che già padroneggiava egregiamente. Negli anni del liceo studia da solo, presentandosi agli esami e ottenendo sempre il massimo dei voti. Dopo la maturità si iscrive alla facoltà di filosofia, allievo di Antonio Banfi, diventando convinto marxista. Nel 1936 incontra i fratelli Cattaneo, tipografi, che lo mettono in contatto con il Partito comunista, allora clandestino, cui subito è chiamato a partecipare. Noto fin dall’adolescenza come antifascista, viene più volte imprigionato, sia pure per pochi giorni. Dopo la laurea in filosofia, insegna al liceo Zucchi di Monza e si iscrive a medicina: nel frattempo scoppia la guerra, e lui – all’ultimo anno della facoltà – dovrebbe essere esentato dal richiamo: ha invece l’onore di essere dichiarato volontario d’ufficio e spedito in prima linea a Mostar.
Rientrato in Italia nell’agosto del 1943, alla data dell’armistizio si trova in caserma a Monza: carica un carretto di armi e si dirige verso la Valtellina, dove, con Vando Aldovrandi e altri, costituisce la formazione garibaldina “Carlo Marx”. Preso dai fascisti nel marzo 1944 e imprigionato a Como, riesce ad evadere e si rifugia in Svizzera, rientrando poi a combattere in Valdossola. Prende parte al resto della guerra partigiana come commissario politico della X Brigata Garibaldi Rocco, con il nome di “Nicola”. Dopo la caduta della repubblica dell’Ossola, durante la prigionia nel campo dello Schwarz See, in Svizzera, inizia a organizzare per i partigiani dei corsi di letteratura, storia, lingue straniere. Subito dopo la liberazione, l’iniziativa proseguirà dando vita ai Convitti Scuola della Rinascita, che saranno in tutto dieci, organizzati su principi anticipatori delle libertà e dei metodi democratici che si auspicavano per la società italiana tutta intera.
Stroncate dai governi democristiani le scuole partigiane, Raimondi torna ad insegnare storia e filosofia al liceo scientifico Vittorio Veneto, e poi al liceo classico Carducci. Continua la sua militanza nel Partito comunista, ma in pochi anni aumenta lo scontento per l’evoluzione politico-sociale italiana e per la risposta, giudicata insufficiente, del partito. All’inizio del 1955 una lettera ai delegati alla IV Conferenza nazionale osa esprimere un’aperta critica all’intera linea politica del PCI. La firmano Bruno Fortichiari, che era stato uno dei dodici fondatori del partito a Livorno, nel 1921, Luciano Raimondi, portavoce del partigianato, ed Emilio Setti, responsabile del lavoro sindacale di Milano. Poco dopo vengono tutti espulsi dal partito, e nasce il gruppo di “Azione Comunista”, che pubblica l’omonimo foglio mensile. E’ il primo gruppo a sinistra del PCI.
Nel giro di pochi anni nascono in tutta Italia gruppi marxisti-leninisti in polemica con il PCI, e spesso in polemica anche fra loro. Raimondi, con un paziente lavoro di tessitura, nel luglio 1966 riesce a unire i vari gruppi in una Federazione, che avrà come organo il giornale “Rivoluzione proletaria”. Ma sono ormai gli ultimi mesi della sua vita in Italia: infatti emigra all’estero, come addetto all’Istituto italiano di cultura di Città del Messico, dove resterà dieci anni. Altri anni li passerà negli Istituti italiani di cultura di Copenhagen e di Helsinki, occupandosi ovunque con grande impegno nella divulgazione della cultura italiana all’estero.
Tornato in Italia nel 1982, già minato da una grave malattia, non accetta la tessera del Partito comunista, che adesso gli viene offerta con tutti gli onori; nel 1992 si iscrive a Rifondazione comunista, con un’ultima speranza di trovarvi qualcosa di nuovo e politicamente valido. Muore nel 1996.